L’indipendenza finanziaria rende le donne libere dalla violenza.

Nel contesto della continua lotta contro la violenza di genere in Italia, una delle misure più significative degli ultimi anni è il Reddito di Libertà. Stabilito per la prima volta nel 2020, questa misura è stata recentemente rafforzata dalla Legge di Bilancio 2024, con un investimento aggiuntivo di sei milioni di euro, rendendola una componente strutturale nel sistema di protezione sociale del paese. Ne abbiamo parlato con Roberta Mori, portavoce della Conferenza delle Democratiche. Roberta Mori, cosa rappresenta l’introduzione del reddito di libertà per le donne vittime di violenza? “Nel periodo più duro della pandemia, di fronte ad uno scivolamento drammatico del reddito e dell’occupazione femminile più precarizzata, le Donne Democratiche per prime hanno posto il tema e ottenuto dal Governo Draghi l’estensione a livello nazionale di questa misura sociale, già sperimentata in alcune regioni, proprio con l’intento di rendere strutturale un sostegno alle donne in difficoltà economiche, e non solo, che cercano di uscire da situazione di violenza maschile in particolare domestica e ricostruirsi una vita. È importante sottolineare che a ritenere necessario il reddito di libertà sono anche i Centri antiviolenza, ovvero i presìdi territoriali dell’accoglienza e assistenza alle vittime e portatori di quella cultura femminista e inclusiva che mette i diritti delle donne, la loro integrità e dignità, dove dovrebbero stare: al centro. Il principio di base che ribadiamo è l’indipendenza economica, ovvero un reddito stabile ottenibile attraverso l’inserimento o reinserimento lavorativo, come principale deterrente alla violenza di genere, sia in chiave preventiva che di contrasto. In un Paese dove il 37% circa delle donne non possiede un proprio conto corrente, il reddito di libertà è un primo aiuto indispensabile e doveroso da parte dello Stato. Ricordo che per potenziarne l’entità il PD ha deciso con le altre opposizioni di destinare interamente la propria quota a disposizione del ‘fondo parlamentare’ in manovra finanziaria, 40 milioni, a questa misura e ai centri antiviolenza per iniziative di prevenzione e formazione. Nonostante questo, i bisogni superano di molto le attuali disponibilità”. Ad oggi ad aver fatto richiesta del reddito di libertà sono state quasi 3mila donne. La maggior parte dalla Lombardia, poi Campania e Lazio: sono tante le iniziative regionali per implementare i fondi. Ma la platea potrebbe essere molto più ampia? “Certamente, potrebbe e dovrebbe se l’attuale Governo si facesse davvero carico della violenza maschile sulle donne come enorme problema strutturale e sociale che costituisce in termini di discriminazioni multiple, sofferenze e vite sottratte alla società e al benessere collettivo. Il femminicidio come acme, ma sono decine di migliaia le donne e ragazze, di ogni provenienza e condizione, che chiedono aiuto ogni anno al numero verde dei Centri perché subiscono violenza psicologica, fisica ed economica, senza contare la violenza assistita dei minori e il sommerso. Le Regioni hanno spesso dovuto supplire alla carenza di fondi e politiche nazionali. Sottolineo, al proposito, che il governo Meloni ha aumentato di sei milioni la dotazione nazionale dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e l’ondata di indignazione e pressione delle piazze per il cambiamento contro la violenza patriarcale. Nulla fa pensare che in assenza di quella pressione trasversale dal basso avrebbe adeguato il fondo, che comunque resta inadeguato a fronte delle richieste e considerate le disparità retributive ed economiche. Lo dico perché la destra dimostra ogni giorno di non essere dalla parte della libertà e autonomia delle donne. Taglia i servizi di welfare, respinge la proposta di salario minimo, taglia gli asili e da ultimo inserisce nel Pnrr la facoltà per le Regioni di coinvolgere all’interno dei Consultori le associazioni antiabortiste. Le donne italiane stanno già pagando sulla propria pelle l’approccio discriminatorio di una destra che liscia il pelo al patriarcato invece che combatterlo”. Con il contributo di 400 euro al mese per un anno non si riesce a ricostruirsi una vita. Come potrebbero essere migliorati secondo voi gli interventi di sostegno? “Per il riequilibrio di una società ancora impari non si è fatto mai abbastanza. Oggi rischiamo addirittura di arretrare a condizioni di subalternità per il mix drammatico di sottovalutazioni, incapacità e ideologia di questa destra, ma ciò che andrebbe realizzato è un cambiamento culturale e sociale profondo, che passa dall’empowerment delle donne sino alla compiuta parità di genere in ogni ambito. Se la società

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